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Cervo della Virginia o Cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) © Christian Lirette

In questo inizio d’estate caldo e appiccicoso non mi riesce di fare molto più che lanciare qualche sassolino qua e là, augurandomi di avere prima o poi il tempo materiale per andarlo a ritrovare e percorrere il sentiero che avevo contrassegnato. Per il momento, devo accontentarmi di gettare un altro sassolino.

Il brano che segue è tratto da Il mito vegetariano di Lierre Keith, Sonzogno 2015. Sottotitolo: cibo, giustizia, sostenibilità: non bastano le buone intenzioni.
Delle quali, com’è noto, è lastricata la via per l’inferno. (Quest’ultimo commento è mio, of course, così come il grassetto con cui ho evidenziato un paio di frasi).


Attualmente i cervi stanno invadendo le foreste del Nord-Est degli Stati Uniti, mangiando i giovani alberi fino a estinguerli. Nell’arco di 50 anni potrebbe non esserci più una foresta, e questo significherebbe la fine anche per i cervi.
E questo accade poiché, a causa dell’interferenza umana, non ci sono più abbastanza predatori, e per sopravvivere i cervi hanno bisogno dei loro predatori. Spiega Pollan: «per quanto possa sembrare a coloro di noi che vivono molto lontano dal mondo naturale, l’atto del predatore non è un fatto che concerna la moralità o la politica; è anche un fatto di simbiosi […] La predazione è profondamente radicata nella struttura della natura, e tale struttura risulterebbe rapidamente danneggiata se la predazione stessa dovesse in qualche modo cessare, se gli esseri umani si impegnassero “a fare qualcosa in questo senso”.» Nel caso del Nordest, gli esseri umani hanno fatto qualcosa in questo senso, e senza i lupi e i leoni di montagna, senza predazione, i risultati stanno progressivamente peggiorando ogni anno che passa. La popolazione dei cervi è esplosa ben oltre ogni speranza di sostenibilità.

[…Ted Williams] descrive Crane Estate, una striscia costiera a nord di Boston, ormai completamente priva delle piante che la popolavano, con le sue nude dune abbandonate al vento, così come il resto della flora e della fauna. I cervi stessi pativano la fame avendo superato di molto la capacità di tolleranza del territorio, e stavano completando il processo di degradazione permanente dello stesso. Senza i predatori la terra muore. In questo caso i predatori, soprattutto puma e lupi, erano stati uccisi dai primi coloni europei. «Questo comportamento sbalordiva gli indiani» scrive Williams, «i quali, dopo averci riflettuto a lungo, decisero che doveva trattarsi di un sintomo di demenza.»