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Foto di sabbie bituminose nell'Alberta, Canada

Foto di sabbie bituminose nell’Alberta, Canada

Oggi vorrei parlarvi di Ro, che insieme a Bachelorette e Davide aka Love2lie costituisce l’attuale formazione di FarOVale, un blog a più mani e più voci che a parer mio si integrano fra loro assai bene, per stili, caratteri, argomenti, offrendo un variegato ventaglio di buone letture, spunti di riflessione, divertimento e informazione. Che poi è tutto quanto di buono dovrebbe saper offrire un blog.
Nell’articolo sottoriportato, di un paio di settimane fa, Ro introduce in maniera direi non poco accattivante l’ultimo lavoro di Naomi Klein, che ci racconta di piacevolezze assortite in tema di inquinamento, economie fuori controllo e folle depauperamento dell’ambiente. Questi ultimi commenti sono miei, e parlo di economie fuori controllo per almeno un paio di buone ragioni.

La prima, è che le mie letture wolveriniche mi hanno insegnato a pensare all’Alberta, in Canada, come a una regione di foreste e di neve, e vedere in foto lo scempio di una miniera a cielo aperto (che è sempre uno scempio, intendiamoci, ma ci sono luoghi in cui fa più male), che è come qualcuno sta trasformando per i propri fini estrattivi un territorio di foreste grande come metà dell’Italia, mi lascia basito e incredulo.
(Del resto, lo stesso Wolvie al momento risulta deceduto, e comincio a credere che si sia immolato perché non ce la faceva a sopportare la vista della propria terra natale ridotta così).
La seconda, il pensare che tale scempio, perpetrato con la tecnica del fracking – che Ro spiega con chiarezza e precisione cosa sia – non abbia altri fini commerciali se non quello della sopravvivenza delle aziende che estraggono con quei metodi, in quella come in altre zone analoghe. Ovvero: i costi di estrazione sono così elevati, rispetto ai ricavi sul prodotto estratto, che non c’è alcun reale ritorno economico, e se c’è è trascurabile. Questo macello, da parte di chi lo perpetra, è giustificato solo dal fatto di evitare perdite e restare a galla sempre e comunque, ovvero di tramandare se stessi. Cosa che, a pensarci bene, accomuna tali compagnie petrolifere a svariate e numerose altre aziende, enti, organizzazioni e classi dirigenti. (Qualunque riferimento alla classe politica di casa nostra non è del tutto casuale)

Nel suo libro Naomi Klein non si limita a informare e denunciare, ma propone anche delle soluzioni, che Ro ci riassume in 6 punti. A parer mio del tutto irrealistici, perché considerano di tassare seppur di poco le classi più ricche e le transazioni finanziare, misure che chi detiene le leve del mercato non accetterà mai. Nessun esponente delle classi agiate e dominanti accetterà mai di veder diminuire il proprio profitto a beneficio della tutela ambientale e di una più equa redistribuzione del reddito, non gliene può fregare di meno. Non saranno certo loro, i petrolieri e i loro finanziatori, a finire per primi con i piedi a mollo con l’innalzamento del livello dei mari dovuto al riscaldamento globale.

Non sono però così pessimista da paventare una catastrofe annunciata e ineluttabile. Anzi, sono un inguaribile ottimista. E credo che un modo per “cambiare il sistema non il clima”, per usare l’efficace sintesi proposta da Ro, esista: ovvero, che cambiare il sistema diventi più conveniente, per industria e finanza mondiale, di tenerlo così com’è. Penso che sia questa la direzione che sarebbe opportuno assumere, da parte delle organizzazioni ambientaliste. Non contrastare la cieca pervicacia dei propri antagonisti mostrando loro cosa succederà se non collaborano, ma facendo loro luccicare la prospettiva di migliori guadagni. Come si farebbe con un bambino ribelle e capriccioso offrendogli un gelato. Ammansire la bestia, insomma.

Detto ciò, non posso che ringraziare Ro per l’ottimo post, così ben argomentato, e le stimolanti riflessioni nonché proposte di lettura.

Una rivoluzione ci salverà